martedì 8 maggio 2012

Quarta eccedente - Capitolo 1


Devi partire” il capo con voce ferma e insolitamente roca. “Devi farlo. È già prenotato un volo per martedì prossimo.”
Silenzio.
Marco, vedi, mi dispiace. Ma sono stato obbligato a prendere questa decisione. So benissimo che non è il massimo per te, sapere così all'improvviso che nel giro di una settimana cambierà tutto. Io stesso non credevo che avremmo firmato il contratto in così poco tempo.. Non mi hanno lasciato scampo.”
La voce era diventata via via meno roca, in compenso la cosa insolita adesso era il fatto che mi stesse dando tutte queste spiegazioni, con tutta questa premura.
Non l'avevo mai sentito coordinare tutte quelle frasi in una sola battuta, ero abituato a ricevere informazioni a gesti e monosillabi, non lasciando trapelare mai troppe emozioni, o comunque “cose non dette”, e quasi sempre facendo altre cose nel frattempo che “parlava” con me.
Non so cosa mi destabilizzasse di più, effettivamente.
In fondo, ero contento che avesse scelto me. Insomma, batosta improvvisa a parte, non mi avrebbe fatto male cambiare aria due anni, allontanarmi da tutte le pressioni che la vita mi stava gentilmente porgendo di questo periodo, fare nuove esperienze, respirare posti nuovi, conoscere persone diverse da quelle a cui ero abituato. Fuori e dentro.
Silenzio prolungato.
E il capo non stava facendo altro.
Ok, parto.”
Un accenno di sorriso sul suo volto. Era tornato in sé.

..ma sì, le mutande me le porto da qua. E poi se proprio me ne servissero altre, le vendono anche in California, sai.”
E con il cibo come farai?? Oddio spero non passerai le tue serate in un fast food..diventerai obeso! Che scena triste...”
Ma insomma! Me la sono sempre cavata. Non sarò Gordon Ramsey, ma non sono neanche mai morto di fame! E poi sono molto più tranquillo di lui. E di te.”
Si lo so, non dico questo. Ma.. E i vestiti? Va beh, lì è pieno di lavanderie a gettoni! Se no potresti cercarti qualcuno che ti dia una mano, che so, magari una volta a settimana...anche solo per i primi periodi, così, per prendere il ritmo.”
Poi? Hai già contattato un prete e un medico affidabili? Potrei anche avere bisogno di un buon fruttivendolo, e di un personal trainer..ci pensi tu?”
Dai non fare così... Mi sto solo preoccupando per te...” Ma si vedeva che stava trattenendo qualche altra paranoia non manifestata. Con fatica.
Non c'è bisogno che ti preoccupi per me. Non sono un bambino.. Non IL TUO bambino!”
Invece sì, sei il mio bimbo bello.” Emulando una vocina dolce e un po' forzata, sicuramente finta.
Ok ma è un modo di dire, tu non sei mia madre!” Forse stavo per spezzarle il cuore. (O forse l'avevo già fatto, ancora.) “Sei la mia ragazza cazzo! E tra tutte le reazioni che potevi avere, hai tirato fuori dal cappello quella sbagliata.” Ancora silenzio. “Sai quante belle ragazze a San Francisco? Sai quanti locali? Quante feste? Sai quanto fascino uno straniero? Sai quanto fascino io?!? Dovresti.. LO SAI? Che sia così o no..Perchè non lo pensi neanche un istante..? Perchè ti preoccupi solo di quante stracazzo di mutande mi sto portando?”
Il suo sguardo nel vuoto. Il mio su di lei. L'aveva già spogliata in un istante, forse per l'ultima volta. E le mie labbra stavano baciando, forse per l'ultima volta, il suo collo. Anzi, l'immagine che loro stesse avevano nella loro mente del suo collo.
Un'immagine. Questo era lei per me da un po' di mesi a questa parte. Nient'altro che la rappresentazione di quello che lei stessa era, anzi che era stata.
Marika era ancora bellissima per me, non c'è dubbio. Ed io ancora molto attratto da lei. Ma tra di noi non era rimasto nulla più che mera attrazione fisica. Col tempo tutto il resto..era semplicemente svanito nel nulla, scoperta dopo scoperta. Stavamo vivendo la proiezione di una storia d'amore.
Non bisognerebbe conoscersi mai fino in fondo.
Mentre stavo lì a pensarci, avevamo già iniziato a far l'amore da un po'.
Tornando nel mondo reale non mi ero accorto solo di questo, ma anche del fatto che eravamo sotto casa sua, nel controviale di corso Vittorio, in seconda fila e con le frecce d'emergenza accese già da un po', che ad intermittenza comunicavano al mondo qualcosa come “non preoccupatevi, tra poco in questa macchina si finirà di far l'amore, forse per l'ultima volta.”

Era notte fonda ormai, ma non avevo sonno. Non avevo mai sonno a notte fonda, se c'ero arrivato sveglio. E quella notte fonda, ero parecchio sveglio.
..Andre fammene una!”
Il solito?”
Chiaro!”
Chiara?!”
...
Ricominciamo: “Ciao Andrea, una Guinness media per favore.” a differenza mia, lui non arrivava mai troppo sveglio, a notte fonda. E, talvolta, neanche troppo sobrio.
Parto.”
Bene.” (stranamente non c'era arrivato neanche troppo curioso.)
Sugli schermi una qualche replica di un qualche torneo di golf, col tappetone vellutato ed ovattato del commento in qualche linguamadre, nel locale qualche gruppetto decimato e sparso in qualche tavolino qua e là, e qualche rumore di qualche auto che passa ogni tanto.
E la profonda oscurità di una Guinness di fronte a me. Con tutte le sue bollicine, che ordinate e pazienti si mettevano in coda per risolversi in quel centimetro e mezzo di schiuma densa e morbida, tipica delle Irlandesi.
Quant'è facile la vita di una bollicina di Guinness. Qualcuno ti dice dove riposare finchè arrivi a destinazione, ti travasano in un posto più accogliente, fai quello che devi fare cinque minuti, poi giusto il tempo di una digestione e puoi permetterti di vagare per l'aere a tempo indeterminato, mossa solo dal caos, festeggiando circondata da miliardi di miliardi di altre particelle gassose, ballando e osservando la terra dall'alto...e magari anche sorridendo di quello che succede giù.
Un paio di mesi di limbo e poi il paradiso a vita. Senza neanche morire mai.
Devo esser ridotto parecchio male, per pensare a questo. Il caos è nella mia mente, altrochè.
E non ero neanche più così sollevato dall'essermi buttato ad angelo verso il sorrisino del mio capo.
Dove vai?” Ah, ma allora non è poi così tardi.
California. San Francisco.”
Ne sei felice?”
Si. E no. Non so ancora.”
Donna?”
Sì...ma non solo. Con lei è finita già da un po', forse questo aiuterà solo a velocizzare le cose, renderle più rapide e indolori...” Silenzio. “Ammesso che lo sarebbero state... Dolorose, intendo.”
E cosa ti frena?” Mentre asciugava contemporaneamente qualche bicchiere e il lungo piano metallico interrotto solo dal lavandino metallico, dall'altro lato del bancone.
Tutto. Non so se è la cosa giusta per me. Ho molte cose da sistemare qui, e molte altre da portare avanti, olre al lavoro. Non c'è solo il lavoro.”
Non ci sarà solo il lavoro anche lì!” Sempre illuminante. Non ci avevo ancora pensato più di tanto, avevo altro a cui pensare.
Non so se questo mi incuriosisce, o se mi spaventa ancora di più.” Infatti.
Beh, non so a cosa ti riferisci di preciso quando parli di quello che c'è qui, ma di certo so che nella vita a volte mettere in pausa le cose può servire a farle in qualche modo migliorare. Da sole, o quando tornerai. Avrai tempo di ragionarle a freddo, con distacco, come se tu non c'entrassi niente con loro. E poi recuperare tutto in un attimo, andando a riordinare tutti i tassellini che hai rielaborato e catalogato dall'altra parte del mondo. Invece se nel frattempo peggiorano, meglio così. Molto probabilmente sarebbe capitato lo stesso, ma da lontano si sente molto di meno il contraccolpo. Una pausa porta sempre e solo benefici. Non fidarti di chi ti mette fretta, l'importante è vivere, non importa cosa.” mentre poneva tutte le sue attenzioni e i suoi sguardi ai suoi bicchieri, caldi di lavastoviglie.
Sembrava quasi sprecato, lì, ora.
Una pausa di due anni......” ma tanto mi aveva già convinto.
Sì, una pausa di due anni!” questa volta mi ha guardato, mezzo secondo, prima di tornare ai bicchieri “una pausa è una pausa, le cose ferme sono ferme indipendentemente dal tempo. Hanno un ritmo quando si muovono, ma se le parcheggi stanno lì, immobili.”
Sempre illuminante.”
Maledetto, è così fottutamente illuminante.

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